giovedì 20 marzo 2014

Anteprima: "I cento colori del blu" di Amy Harmon

Buonasera amici,
Rieccomi per presentarvi una nuova anteprima. Si tratta di "I cento colori del blu" di Amy Harmon, edito da Newton Compton, in uscita il 3 Aprile 2014. è Un romanzo autoconclusivo, Bestseller del New York Times.



"I cento colori del blu"
Amy Harmon
Newton Compton
Pagine 384
In uscita il 3 Aprile 2014
 
 
La sua storia è un segreto
Solo l'amore potrà svelarlo
 
Tutti a scuola conoscono Blue Echohawk. Abbandonata da sua madre quando aveva solo due anni, Blue non sa se quello sia il suo vero nome né quando sia davvero il suo compleanno. Ma ha imparato a fuggire il dolore con atteggiamenti da ribelle: indossa sempre vestiti attillatissimi e un trucco pesante. E soprattutto il sesso è il suo rifugio, un gioco per dimenticare tutto, per mettere sotto chiave le sue emozioni. A scuola poi è un caso disperato. Eppure il suo nuovo insegnante di storia, il giovane Darcy Wilson, non la pensa così: Darcy crede in lei, e sa che Blue ha bisogno di capire chi sia prima di trovare un posto nel mondo. E così la sprona a guardarsi dentro e a ripercorrere il passato, a scrivere la sua storia, a dar voce alle sue emozioni. Tra i due nasce una grande amicizia, e forse, a poco a poco, qualcosa di più: un sentimento forte, travolgente, a cui ciascuno dei due tenta in tutti i modi di resistere…
 
 
Breve estratto
 
 
                                                  Agosto 1993

La bimba era sdraiata sul sedile posteriore, nel caldo soffocante della macchina. Aveva il viso arrossato, la coperta su cui era distesa si era spostata e il viso era premuto sulla plastica del sedile. Ma lei non sembrava accorgersene e continuava a dormire. Era forte, nonostante fosse così piccola. Non piangeva quasi mai, né si lamentava. Sua madre aveva tenuto i finestrini abbassati per tutto il viaggio, ma non era servito a molto. Perlomeno adesso il sole era tramontato e non batteva più. Era scesa la sera, che aveva portato un po’ di sollievo, nonostante fuori ci fossero ancora quasi quaranta gradi; e poi nell’oscurità nessuno le avrebbe notate. L’aria condizionata aveva funzionato finché l’auto era in movimento, ma da due ore erano ferme nel buio a guardare il pick-up, aspettando quell’uomo. La donna al volante si mangiucchiò le unghie, chiedendosi se non fosse il caso di lasciar perdere. Cosa gli avrebbe detto? Tuttavia aveva bisogno d’aiuto. Il denaro che aveva preso a sua madre non era durato molto. I genitori di Ethan le avevano dato duemila dollari, ma tra benzina, motel e cibo erano finiti prima di quanto si fosse aspettata. Così, durante il viaggio si era ritrovata a fare cose di cui non era per niente fiera, anche se continuava a dirsi che non aveva avuto scelta. Ormai aveva una figlia: doveva prendersi cura di lei, anche se questo significava fare sesso in cambio di denaro o favori. O di droga, suggerì una vocina nella sua testa. Scacciò quel pensiero. Sapeva che non avrebbe resistito ancora a lungo, aveva bisogno di un’altra dose. Ecco a che punto era arrivata. Le sembrava impossibile essere finita lì, a poca distanza da casa. Qualche ora di viaggio, niente di più. Aveva attraversato metà Stato e poi era tornata indietro senza aver risolto nulla. All’improvviso vide l’uomo che tornava verso il pick-up. Tirò fuori le chiavi da una tasca e cercò di aprire la portiera del passeggero. Gli corse incontro un cane sporco, grigio e nero, che era rimasto a dormire sotto il rimorchio, aspettando il suo ritorno. Cominciò a girargli intorno alle gambe mentre lui strattonava la maniglia. Lo sentì imprecare sottovoce. «Maledetta maniglia. Devo farla sostituire». Alla fine riuscì ad aprire e il cane balzò subito sul sedile. L’uomo richiuse e controllò di nuovo la maniglia. Non si accorse che lei lo stava guardando. Fece il giro passando davanti al pick-up, si mise al volante e uscì dal parcheggio che aveva occupato per qualche ora. Mentre avanzava, per un attimo posò lo sguardo su di lei, ma senza indugiare, senza esitazioni. D’altra parte cosa ci si poteva aspettare? Non la degnò neppure di una seconda occhiata. Niente ripensamenti. Sentì la collera montarle dentro. Era stanca di sembrare trasparente, di essere incrociata solo per caso, ignorata, respinta. Mise in moto e lo seguì, tenendosi a una distanza sufficiente per non destare sospetti. Ma perché poi avrebbe do- vuto insospettirsi? Non sapeva nemmeno che lei esisteva. E questo la rendeva invisibile, giusto? Eppure era pronta a seguirlo anche tutta la notte, se necessario.
 
* * *
 
5 agosto 1993
 
La chiamata arrivò poco prima delle quattro del pomeriggio, e l’agente Moody non ne fu affatto contento. Era quasi a fine turno, tuttavia rispose e raggiunse il parcheggio dello Stowaway, un motel fatiscente che solo qualche clandestino avrebbe scelto. Un’insegna al neon raffigurante un baule di legno con una testa che sbucava dal coperchio sfrigolava nella calura del pomeriggio. L’agente Moody viveva a Reno da tutta una vita, cioè ventotto anni, e sapeva benissimo che chi frequentava lo Stowaway non lo faceva certo per la comodità dei letti. Sentì la sirena di un’ambulanza: l’addetta alla reception doveva aver fatto più di una telefonata. Era tutto il pomeriggio che aveva un dolore gorgogliante al ventre. Maledetti burritos. A pranzo se n’era spazzolati un paio stracolmi di formaggio, guacamole, carne di maiale, panna acida e peperoncini verdi, e adesso si stavano vendicando. Aveva un gran bisogno di andare a casa. Sperava con tutto se stesso che la receptionist si fosse sbagliata, così da poter sbrigare in fretta la faccenda e chiudere lì la giornata. Invece non si era sbagliata. Quella donna, un’ospite del motel, era morta, senza dubbio. Era agosto, e doveva essere rimasta chiusa nella stanza 246 per almeno quarantotto ore. Il mese di agosto a Reno, in Nevada, era caldo e secco. E il corpo puzzava. I burritos minacciarono di rifarsi vivi e l’agente Moody, senza toccare nulla, uscì in tutta fretta per avvisare i soccorritori che non c’era bisogno del loro intervento. Il suo capo gli avrebbe staccato la testa, se li avesse lasciati entrare lì dentro. Chiuse la porta della 246 e avvertì la ragazza all’ingresso che in breve sarebbero arrivati un mucchio di poliziotti, e che avrebbero avuto bisogno del suo aiuto. Poi chiamò il capo. «Martinez? Abbiamo una donna, sicuramente morta. Ho chiuso la scena del crimine e allontanato i paramedici. Servono rinforzi». Un’ora dopo, la scientifica stava scattando foto, mentre la polizia setacciava la zona e faceva domande a tutti gli ospiti, ai proprietari dei negozi dei dintorni, agli impiegati del motel. Il detective Stan Martinez, il capo dell’agente Moody, aveva fatto requisire la videocamera di sicurezza. E, meraviglia delle meraviglie, allo Stowaway ne avevano davvero una. Era stato chiamato il medico legale, che sarebbe arrivato di lì a poco. Quando fu interrogata, la receptionist dichiarò che la stanza non era stata affittata perché aveva il condizionatore rotto. Nessuno entrava o usciva da quella camera da più di due giorni. Avevano chiamato un tecnico, ma la riparazione non era certo una priorità. Nessuno sapeva come avesse fatto quella donna a entrare nella stanza, ma di certo non si era fatta registrare né aveva usato una carta di credito per pagare il soggiorno. Inoltre non aveva documenti con sé. Purtroppo – e questo avrebbe reso più difficili le indagini − era morta da almeno due giorni, e quello non era un albergo che inducesse la gente a fermarsi a lungo. Lo Stowaway si trovava lungo l’autostrada appena fuori città, e chiunque potesse aver visto o sentito qualcosa, la notte in cui lei era morta, era già lontano. Quando l’agente Moody riuscì a tornare a casa, quella sera alle otto, non si sentiva certo meglio, e non erano ancora riusciti a identificare la donna trovata morta, che aveva con sé solo qualche effetto personale di poco conto. Aveva una brutta sensazione, e non per colpa dei burritos.
 
* * *
 
6 agosto 1993
 
«Abbiamo scoperto l’identità della donna?». Moody non era riuscito a togliersela dalla testa. Ci aveva pensato tutta la notte. Non era un suo caso, gli agenti non si occupavano delle indagini. Ma Martinez era il suo capo e sembrava disposto a parlargliene, soprattutto perché la cosa pareva destinata a chiudersi in fretta. «Il medico legale le ha preso le impronte», gli rivelò Martinez. «Ah, sì? Trovato qualcosa?» «Sì. Ha qualche precedente, soprattutto per droga. Abbiamo trovato un nome e un vecchio indirizzo. Diciannove anni appena compiuti. Anzi, il 3 agosto era il suo compleanno », aggiunse con una smorfia. «Quindi è morta il giorno del suo compleanno?» «Così dice il medico legale, sì». «Overdose?». Moody non sapeva se avrebbe risposto a quella domanda. Martinez non era tipo da dare troppi dettagli. «È quel che pensavamo all’inizio, ma quando l’hanno girata per l’autopsia le hanno trovato il cranio fracassato». «Ah, maledizione», gemette Moody. Adesso dovevano anche dare la caccia a un assassino. «Non sappiamo se sia stata la ferita alla testa o la droga a ucciderla, ma di sicuro qualcuno ha cercato di farla fuori. Sembra che abbia preso un po’ di tutto, dalla montagna di roba che abbiamo trovato sulla scena del crimine. Doveva essersi fatta tanta di quella merda da sballare un’intera squadra di cheerleader», riferì Martinez. «Cheerleader?», ridacchiò Moody. «Già. Era una cheerleader in una piccola scuola nello Utah meridionale. È sul rapporto della polizia. Aveva preso ecstasy con qualche compagna, è stata beccata e incriminata per possesso di stupefacenti. Non è finita in galera solo perché era minorenne ed era il suo primo reato, e poi non vendeva la droga, la divideva con le altre. Abbiamo contattato le autorità locali, avviseranno loro la famiglia». «Trovato qualcosa nei video di sorveglianza?» «Sì, ma tutto liscio come l’olio. Si vede lei che entra verso mezzanotte, supera il bancone all’ingresso e si intrufola nell’ufficio. La receptionist dice che di solito chiude tutto a chiave quando si allontana dalla scrivania, ma quella sera un virus gastrointestinale l’aveva costretta a correre al bagno». L’agente Moody ripensò alla propria lotta con i burritos mentre Martinez continuava a raccontare. «Il filmato mostra la ragazza che fruga nell’ufficio e prende una chiave. Sai, usano ancora le chiavi vere, allo Stowaway non ci sono le tessere magnetiche. Secondo la receptionist, la chiave era stata messa da parte per via dei problemi al condizionatore. C’era un modulo per la richiesta di manutenzione insieme a quella chiave. La ragazza non era una stupida. L’ha presa sapendo che poteva stare in quella stanza senza essere notata. Ma non finisce qui. Abbiamo anche la registrazione della sua auto che arriva con lei e riparte un’ora dopo con un uomo alla guida. Abbiamo diramato un avviso generale con la descrizione della macchina». «Ottimo. A quanto pare siete a una svolta», sospirò Moody, sollevato. «Esatto. Lo sbattiamo dentro presto», concordò il detective Martinez.
 
* * *
7 agosto 1993
 
«Ok, adesso ascoltate bene». All’inizio della riunione del mattino il detective Martinez alzò le braccia, per chiedere silenzio. «Le autorità dello Utah meridionale ci hanno appena informati che la donna trovata morta allo Stowaway lo scorso venerdì 5 agosto aveva una figlia di due anni. Trovate una descrizione e una foto della donna nel volantino che avete davanti. Al momento non abbiamo modo di sapere se la bambina era con lei nelle ore precedenti il decesso, ma dal video della sorveglianza non sembra che sia mai stata nel motel. La famiglia della donna non vedeva lei né la bambina da più di un anno, quindi non sappiamo quando si siano separate. Sono stati allertati i media. Abbiamo informato anche gli altri posti di polizia e stiamo inviando le informazioni all’unità anticrimine. Dobbiamo ricominciare a distribuire i volantini in tutta la zona. Far girare subito la foto della donna. Bisogna scoprire se qualcuno ricorda di averla vista e se era con la bambina. Non abbiamo foto della piccola, ma sua nonna ci ha dato una descrizione sommaria. Ha capelli scuri e occhi azzurri, di etnia nativo-americana, anche se il padre dovrebbe essere di razza caucasica, e da lui avrebbe preso il colore degli oc-chi. La madre è morta ormai da cinque giorni, e sappiamo bene che genere di viavai c’è allo Stowaway. Abbiamo perso molto tempo prezioso e dobbiamo fare in fretta. Forza, ragazzi, mettiamoci al lavoro».
 
 
 
Che ne pensate?
Vi incuriosisce?
 
 

6 commenti:

  1. belllooo mi incuriosisce moltoooo =)=)=) avevo letto la trama e mi ispirava .. adesso invece deve essere miooooo!!!!!

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  2. Questo libro mi incuriosisce tantissimo! Le trama è molto bella e gli estratti anche gli estratti!!

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    1. Se desideri leggere di più del romanzo, la casa editrice ha messo a disposizione dei lettori sia il prologo (quello che vi ho postato io), sia i primi due capitoli. Basta andare sulla Newton Compton :D

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    2. Grazie della notizia Ilaria! Ci andrò a vedere :)

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