Buongiorno e buon sabato mattina a tutti. Cosa farete di bello stasera? Io penso di andare a mangiare fuori con le amiche. Solita pizza margherita e tanto divertimento :) Ma ora bando alle ciance e vediamo subito l'assaggio di lettura di oggi. Chrysalis di Jodi Meadows.
Ieri sono andata nella libreria del mio paese e l'ho comprato. La copertina mi ha stregato all'istante, così ho deciso impulsivamente che doveva essere mio. Chrysalis sarà la mia prossima lettura dopo Scarlet di Marissa Meyer, per questo ho deciso di lasciarvene un assaggio, prima di postare la recensione e farvi sapere la mia opinione.
IL LIBRO
Titolo: Chrysalis
Autore: Jodi Meadows
Editore: Mondadori
Data Uscita: 4 Febbraio 2014
Ana è l'unica persona al mondo a non avere alle spalle decine di esistenze. Tutti gli altri abitanti di Gamma vivono da almeno cinquemila anni, in un sistema in cui ognuno si reincarna, tutti si conoscono da secoli e si raccontano storie e ricordi del passato per tenerlo in vita. E le anime gemelle restano fedeli per sempre le une alle altre. Al compimento dei suoi diciott'anni Ana decide di andare a Cardio, la capitale, per cercare una spiegazione alla sua vita mortale... scoprirà un mondo affascinante ma pieno di pericoli, popolato da antiche leggende, creature d'ombra, oscuri segreti. Ad aiutarla ci sarà Sam, il musicista che da secoli dà voce a note meravigliose, di cui Ana ha letto nei libri e del quale è innamorata fin da piccola...
BREVE ESTRATTO
CAPITOLO UNO
NEVE
Io non sono rinata.
Avevo cinque anni quando capii per la prima volta quanto questo mi rendesse diversa.
Era l’equinozio di primavera dell’Anno delle Anime: la Notte delle Anime, quando ci si scambiano
storie su esperienze di tre vite fa. O dieci vite fa. O magari venti. Battaglie contro i draghi,
l’invenzione della prima pistola laser e l’impresa di Cris, durata quattro vite, di coltivare una
perfetta rosa blu. Solo per poi sentirsi dire da tutti che in realtà era viola.
Nessuno parlava con me, perciò non dicevo una parola – proprio mai – però ero
bravissima ad ascoltare. Tutte quelle persone avevano già vissuto, avevano ricordi da condividere e
altre vite che le aspettavano. Danzavano tra gli alberi e attorno al falò, bevevano fino a crollare
gambe all’aria dal gran ridere, e quando arrivò il momento di levare il canto di ringraziamento per
l’immortalità, alcuni mi lanciarono un’occhiata e sulla radura calò un silenzio così innaturale che si
sentiva la cascata scrosciare sulle rocce, cinque chilometri più a sud.
Quella volta Li mi riportò a casa e il giorno dopo misi insieme tutte le parole che
conoscevo e le feci una domanda. Gli altri ricordavano un centinaio di vite prima di questa. Dovevo
sapere perché io non potevo.
— Chi sono io? — furono le mie prime parole.
— Nessuno — rispose Li. — Una senzanima.
Stavo partendo.
Era il mio diciottesimo compleanno, solo poche settimane dopo la fine dell’anno.
Li disse: — Buon viaggio, Ana — ma l’espressione sul suo viso era gelida, e dubito che
stesse parlando sinceramente.
L’Anno della Siccità era stato il peggiore della mia vita, saturo di rabbia accumulata e di
risentimento. L’Anno della Fame non era cominciato molto meglio, ma adesso era il mio
compleanno e avevo uno zaino pieno di provviste e una missione da compiere: scoprire chi ero,
qual era il motivo della mia esistenza. E potermi sottrarre agli sguardi ostili di mia madre era un bel
valore aggiunto.
Mi lanciai un’occhiata alle spalle, verso la Casa delle Rose Purpuree; Li, alta e sottile
sulla porta, e la neve che turbinava tra noi.
— Arrivederci, Li.
Il mio addio si condensò a mezz’aria, rimanendo sospeso mentre raddrizzavo le spalle e
raccoglievo il mio zaino. Era giunto il momento di lasciare quel cottage isolato per andare a
incontrare… tutti gli altri. Fatta eccezione per qualche raro visitatore, non conoscevo nessuno oltre
a quel cuore di serpente di mia madre. Il resto della popolazione viveva nella città di Cardio.
Il vialetto scendeva tortuoso lungo la collina, fra le zucche e le piante di pomodoro
rampicanti, ricoperte di brina. Stretta nel giaccone di lana, sentivo i brividi penetrare sempre più a
fondo mentre mi allontanavo dalla donna che aveva l’abitudine di affamarmi per giorni come
punizione per non aver sbrigato le faccende domestiche in modo soddisfacente. Se quella era
davvero l’ultima volta che l’avrei vista, non avevo certo molti motivi per lamentarmene.
I miei stivali scricchiolavano sulla ghiaia e sulle schegge di ghiaccio cadute dagli alberi
mentre dalle montagne faceva capolino l’alba. Tenevo i pugni stretti in tasca, ben protetti nelle
muffole sbrindellate, le mandibole strette contro il gelo. Lo sguardo di Li, carico d’odio, continuò a
seguirmi per tutta la discesa, tagliente quanto i ghiaccioli che penzolavano dal tetto. Ma non
importava più, ormai. Adesso ero libera.
Ai piedi della collina, mi voltai verso Cardio. In città avrei trovato le mie risposte.
— Ana! — Dal gradino della veranda, Li stava agitando un piccolo oggetto metallico.
— Hai dimenticato di portare con te una bussola.
Feci un sospiro profondo e arrancai di nuovo su per la collina. Lei non me l’avrebbe
portata, e non mi meravigliava che avesse aspettato di vedermi arrivare fino in fondo prima di
avvisarmi. Il giorno in cui ebbi le mie prime mestruazioni, ero corsa fuori dal bagno gridando che
mi stavano uscendo le budella. Lei aveva riso e riso finché non aveva capito che davvero ero
convinta di essere sul punto di morire. E questo l’aveva fatta sghignazzare ancora di più.
— Grazie. — La bussola mi riempì il palmo della mano, prima di finire nella tasca della
giacca.
— Cardio è a quattro giorni da qui, in direzione nord. Sei giorni, se c’è brutto tempo.
Cerca di non perderti, perché io non ti verrò a cercare. — E mi sbatté la porta in faccia, troncando il
soffio d’aria calda che proveniva dalla stufa.
Siccome non poteva vedermi, le feci la linguaccia, poi sfiorai con le dita la rosa
intagliata nella porta di quercia. Quella era la sola casa che avessi mai conosciuto. Dopo la mia
nascita, Menehem, l’amante di Li, se n’era andato oltre i confini di Gamma.
Non poteva restare: troppo grande era stata l’umiliazione per quella figlia senzanima, e
Li mi incolpava per… per tutto. La sola ragione per cui si era presa cura di me – si fa per dire – era
perché il Consiglio l’aveva obbligata.
Qualche tempo dopo, ancora ferita per la partenza di Menehem, aveva deciso di
trasferirsi nella Casa delle Rose Purpuree, anch’essa abbandonata e sbeffeggiata con nomignoli
quando tutti si erano trovati d’accordo nel dire che le rose di Cris non erano affatto blu. Non appena
fui abbastanza cresciuta, cominciai a dedicare ore e ore alla cura di quelle rose, per riportarle in vita,
in modo che fiorissero per tutta l’estate. Portavo ancora sulle mani le cicatrici delle loro spine, ma
sapevo bene per quale motivo si difendessero con tanta ferocia.
Girate di nuovo le spalle, scesi la collina con passo pesante. Una volta arrivata a Cardio
avrei chiesto al Consiglio il permesso di poter trascorrere del tempo nella grande biblioteca. Doveva
pur esserci una ragione se dopo cinquemila anni di ininterrotte reincarnazioni delle stesse anime,
ero nata io.
Il mattino avanzava lentamente, ma il freddo non alleggeriva la sua morsa. I cumuli di
neve si allineavano lungo la strada lastricata di sassi e i miei stivali schiacciavano la sottile coltre
bianca che si era andata formando durante la giornata. Ogni tanto qualche tamia o uno scoiattolo
faceva frusciare i rametti ghiacciati, o sfrecciava tra gli abeti, ma per lo più regnava il silenzio.
Perfino l’alce che si aggirava lento per i campi innevati non faceva alcun rumore. Poteva sembrare
che io fossi la sola persona in tutta Gamma.
Sarei dovuta partire prima del quindec, il mio quindicesimo compleanno e – per la gente
normale – il giorno dell’ingresso nell’età adulta. I ragazzi normali lasciavano i genitori per
festeggiare quel compleanno insieme agli amici, ma io non ne avevo, e poi avevo pensato di
prendermi più tempo per apprendere le cose che tutti gli altri avevano assorbito in migliaia di anni.
Il pegno da pagare per aver creduto a Li, ogni volta che mi ripeteva quanto fossi stupida.
Non avrebbe più avuto la possibilità di farlo, adesso. Arrivata in fondo alla strada che
conduceva alla casa, controllai la bussola e presi il bivio che portava a nord.
I boschi montani della regione meridionale di Gamma mi erano familiari e lì mi sentivo
al sicuro; gli orsi e gli altri grandi mammiferi non venivano a infastidirmi, né del resto io infastidivo
loro. Avevo trascorso tutta l’adolescenza raccogliendo fossili cristallini e conchiglie riaffiorate in
superficie dopo secoli. Stando a quanto era scritto nei libri, mille anni fa, quando straripavano
durante la stagione delle piogge, le acque del Lago del Confine di Gamma arrivavano fin quassù,
perciò c’era sempre la possibilità di imbattersi in qualche tesoro.
Non mi fermai per mangiare, limitandomi a sbocconcellare alcune mele raggrinzite che
avevo preso dalla scorta in cantina, lasciando dietro di me una scia di torsoli a beneficio di qualche
fortunata creaturina del bosco. Una volta saziato lo stomaco, mi tirai il colletto della camicia sul
naso, in modo che l’alito arrivasse a lambire labbra e guance. I miei passi tenevano il ritmo, mentre
il grido di un falco scandiva l’armonia.
Non avevo ricevuto una regolare educazione in campo musicale, ma avevo rubato dei
libri di teoria dalla biblioteca di casa e, qualche volta, anche delle registrazioni del più celebre
musicista di Gamma: Dossam. Avevo imparato a memoria le canzoni di quell’uomo – o donna, in
alcune delle sue vite – perché volevo che continuassero a essere mie anche dopo che Li si fosse
accorta del furto. E ne era valsa la pena, nonostante le botte.
La luce del sole che filtrava attraverso la coltre di nubi calava lentamente sulla mia
destra verso la linea dell’orizzonte, facendo risaltare i picchi innevati contro il cielo. Strano. Dal
momento che stavo viaggiando verso nord, il sole avrebbe dovuto trovarsi alla mia sinistra.
Forse, senza che me ne accorgessi, la strada si era avvolta in un tornante attorno a una
collina. Le montagne pullulavano di sentieri ingannevoli, che sembravano promettenti finché non si
interrompevano sulla sponda di un laghetto o davanti a un crepaccio. Quando avevano progettato le
strade attraverso la natura selvaggia, gli ingegneri erano stati ben attenti a evitare certe insidie, ma
avrebbero dovuto comunque considerare meglio anche le ripide pendici di monti e colline.
Bisognava aspettarsi molte curve, tanto brusche quanto dolci.
Ma quando, posato lo zaino sull’acciottolato del sentiero, mi arrampicai su un pioppo
per avere una visuale migliore, non fui in grado di distinguere un punto in cui la strada tornasse
indietro. A quanto riuscivo a vedere nella luce velata del crepuscolo, essa avanzava tagliando la
distesa di pini e abeti, sempre dritta fin oltre il Lago del Confine che segnava il limite meridionale
di Gamma.
Li mi aveva imbrogliato.
— Ti odio!
Scagliai la bussola a terra, chiudendo gli occhi con forza, senza nemmeno sapere con
chi avrei dovuto prendermela. Se con Li, che mi aveva rifilato una bussola difettosa, o con me
stessa, così ingenua da credere che lei potesse compiere anche solo quella piccola gentilezza nei
miei confronti.
Avevo buttato via un intero giorno di marcia, ma almeno me n’ero accorta prima di
sconfinare oltre il territorio di Gamma. L’ultima cosa che volevo era imbattermi in un centauro,
cosa alquanto probabile spingendosi così a sud, oppure in una silfide, creature che infestavano i
confini di Gamma. Di solito non riuscivano a entrare, grazie alle trappole termosensibili piazzate in
giro per il bosco, ma spesso da bambina mi era capitato di sognarle, e non ero del tutto convinta che
quelle ombre, quegli aloni di calore, fossero sempre stati solo degli incubi.
In ogni caso, se non gliel’avessi raccontato io, Li non sarebbe mai venuta a sapere della
sua vittoria.
Il tempo di scendere dal pioppo e il buio si era fatto totale; soltanto un filo di luce lunare
riusciva a filtrare attraverso le nubi. Rovistai nello zaino finché la mia mano non si chiuse attorno
alla torcia. La accesi ruotandola con decisione un paio di volte e preparai il campo in quel candido
chiarore. C’era un ruscello che scorreva impetuoso proprio sul ciglio della strada, e folte conifere
proteggevano uno spiazzo ampio quel tanto che bastava per il mio sacco a pelo.
Spazzai via la neve e stesi il sacco a terra. Era abbastanza grande da potermelo chiudere
fin sopra la testa, e mi rimaneva anche lo spazio per stiracchiarmi liberamente. Non avevo una
tenda, né ne avevo bisogno; ci sarebbe voluto troppo tempo per riscaldarla, visto che Li non mi
aveva dato uno scaldino. Non che mi aspettassi un simile riguardo nei miei confronti. Comunque,
mi bastò infilarmi nel sacco per sentirmi subito comoda e al calduccio, come se fossi stata a casa.
Magari un giorno, una volta scoperto da dove venivo e se mai sarei rinata, avrei potuto
vivere per sempre nei selvaggi boschi di Gamma. Non avevo bisogno di nessuno, io.
Mentre la luce della torcia si affievoliva lentamente, canticchiavo tra me e me la mia
sonata preferita, che mi arrivava alle orecchie in una melodia ovattata. Dentro il sacco a pelo si
soffocava, ma era sempre meglio che svegliarsi con la bocca piena di neve. Le palpebre mi stavano
diventando sempre più pesanti.
— Shhh…
Mi risvegliai di colpo, subito all’erta, e afferrai la torcia, indecisa se accenderla o
scartare l’idea.
— Ssshhh…
Dall’altra sponda del ruscello giunse un lamento sommesso. Nessun rumore di passi
sulla sterpaglia, però, nessun frusciare di rami. Dappertutto silenzio, tranne che per l’acqua che
gorgogliava tra le rocce. E quel sussurro.
I mormorii continuarono; qualcun altro aveva deciso di accamparsi lì e, per quanto
strano, non si era accorto del mio sacco a pelo.
Benissimo. Me ne sarei andata. Non ero pronta ad affrontare nessuno dopo così poco
tempo dall’aver lasciato Li. Lei mi aveva sempre ribadito che tutti mi avrebbero odiato a causa di
ciò che ero, e poi non volevo dover spiegare per quale motivo mi trovassi al confine estremo di
Gamma. Chilometri e chilometri di territorio abitato, la maggior parte della gente rintanata a Cardio
e qualcuno si era fermato proprio lì.
Il tono di voce degli intrusi non mutò mai mentre facevo scivolare le braccia nelle
maniche del giaccone e infilavo le mie cose nello zaino. Alla fine tornavano utili tutti quegli anni di
pratica nel cercare di non farmi notare da Li. Non appena aprii la zip del sacco a pelo per sgusciare
fuori, fui colpita da un refolo di aria gelida.
Si sentì un lamento. Ora sì che volevo proprio andarmene.
Arrotolai il sacco a pelo, lo misi nello zaino e mi avviai con circospezione verso la
strada, alla luce della luna che si rifletteva sulla distesa nevosa, abbastanza vivida da permettermi di
distinguere gli alberi e il sottobosco. Degli intrusi nessuna traccia, però. Dovevo aver dormito per
un po’, perché il cielo era limpido e scuro, con una spolverata di stelle simile a neve. Il vento
scuoteva i rami degli alberi.
— Shhh…
I sussurri seguivano la mia ritirata.
Col cuore a mille, accesi la torcia e diressi il fascio di luce verso il gorgoglio dell’acqua
sulle rocce. Neve, terra e ombre. Niente di strano, eccetto quelle voci senza corpo.
Per quanto ne sapevo, c’era soltanto una creatura che si muoveva senza toccare terra. La
silfide.
Fuggii di corsa lungo la strada, con la neve che scricchiolava sotto gli stivali e l’aria
gelida che mi riempiva i polmoni, facendomi rabbrividire. I lamenti divennero strida, e poi risate.
Anche se il calore che sentivo dietro il collo poteva essere un effetto della mia immaginazione in
preda al terrore, sapevo che la silfide mi stava raggiungendo. Avrei potuto sopravvivere al loro
tocco ustionante se mi avessero toccato di striscio; ma se si fosssero soffermate soltanto un istante
di più, sapevo che mi avrebbero ucciso.
Esistevano dei metodi per imprigionarle il tempo sufficiente a rispedirle nel cuore del
bosco, ma mi mancava l’attrezzatura necessaria. Non c’era modo di uccidere un’ombra.
Mi lanciai tra gli alberi. I rami mi schiaffeggiavano il viso, mi afferravano per il
giaccone. Per liberarmi, ogni volta lo strappavo un po’ di più e intanto continuavo ad addentrarmi
nel bosco. Quel sibilo era l’unico indizio di quanto le silfidi fossero vicine.
L’aria gelata mi pungeva gli occhi e la luce della torcia si stava ormai esaurendo: Li mi
aveva dato quella di riserva, ormai vecchia. Avevo il petto in fiamme per il freddo e la paura, e un
crampo mi attanagliava il fianco. Le silfidi gemevano, simili al fischio del vento nella bufera.
Un’invisibile lingua di fuoco mi lambì la guancia priva di protezione. Lanciai uno strillo e ripresi a
correre ancora più veloce, ma lo zaino mi si impigliò in un groviglio di rami d’abete e non ci fu
strattone in grado di liberarlo.
Le silfidi scioglievano la neve mentre formavano un cupo circolo di vento stridente.
Lunghe dita nere si allungarono sinuose verso di me, e sentii il bruciore dell’ustione sulla faccia.
Sfilai le braccia dallo zaino e mi lanciai in mezzo alle creature d’ombra; una vampata di
calore mi avvolse il viso, come se mi fossi affacciata allo sportello di un forno. Loro mi
inseguirono, lanciando grida stridule, ma io riuscivo a muovermi molto più rapidamente ora che non
avevo più nulla a impacciarmi. Alberi, cespugli, tronchi caduti. Correvo, scartando e saltando,
sforzandomi di tenere insieme i pensieri, concentrata più sul prossimo ostacolo che sulla neve e il
freddo, o sulla morte crudele che mi dava la caccia.
Forse potevo attirarle verso una delle trappole piazzate appositamente per loro. Ma non
sapevo dove si trovassero. Non sapevo dove mi trovassi io.
La torcia si spense. La colpii sul fondo, ruotando il tubo finché un flebile fascio di luce
non illuminò di nuovo gli alberi, che spiccavano sulla distesa di neve scintillante.
Le silfidi si lamentavano e piangevano, avvicinandosi, mentre io schivavo un abete
innevato. Spire di calore mi lambirono il collo. Superai un ceppo con un balzo e arrivai in scivolata
fin sull’orlo di un promontorio che si protendeva sul lago. La neve slittò sotto i miei stivali quando
mi gettai in ginocchio per fermarmi prima di precipitare. La mia torcia non fu altrettanto fortunata.
Mi sgusciò via dalle mani guantate, rimbalzando rumorosamente, per poi piombare nel lago con un
tonfo. Tre secondi. Una lunga caduta.
Il vento soffiò su dall’acqua, mentre mi rimettevo in piedi.
Le silfidi fluttuavano sul bosco, saranno state sette o otto, creature due volte la mia
altezza, fatte di ombra e fumo. Strisciarono verso di me, sciogliendo la neve e intrappolandomi tra
loro e il precipizio sul lago.
Le grida che lanciavano erano di rabbia e disperazione, un fuoco inesauribile.
Mi diedi un’occhiata alle spalle: il lago era una distesa di tenebre e non c’era nient’altro
dietro di me. Se c’erano delle rocce o dei pezzi di ghiaccio, non riuscivo a vederli. Annegare
sarebbe stata una morte migliore che bruciare nel fuoco delle silfidi per settimane o mesi.
— Non mi avrete. — Mi girai e saltai oltre l’orlo del precipizio.
La morte sarebbe giunta gelida e veloce; non avrei sentito nulla.
L'AUTRICE
Jodi Meadows vive e scrive nella Shenandoah Valley, virginia, con il marito, un Kippy (gatto), e un numero allarmante di furetti. Lei è una book addict dichiarata, e ha voluto essere una scrittrice fin da quando decise di essere un’astronauta.
Potete restare aggiornati su Jodi e i suoi libri tramite la pagina Facebook e il sito web personale (dove trovate anche i suoi riferimenti su Goodreads e tutti i siti che frequenta).
LA SERIE
1. Chrysalis - Incarnate
2. Asunder
3. Infinite
2. Asunder
3. Infinite
L'ho preso! la trama mi attirava troppo :3 però devo trattenermi dal leggero perchè ho da finire la lettura in corso e poi se mi prende troppo va a finire ne accattono una là poveraccia! XD
RispondiEliminaIo ho finito di leggerlo ieri. Mi ha delusa come lettura, mi aspettavo qualcosa di diverso. Tra poco pubblicherò la recensione e mi spiegherò meglio :)
EliminaNooo davvero ti ha delusa? :( io non l'ho ancora iniziato, non vedo l'ora di leggere la recensione, leggerai anche gli altri libri della saga?
EliminaNon avrei voluto leggere il primo se avessi saputo che non mi sarebbe piaciuto. Quindi no, al momento non ho alcuna intenzione di continuare la serie. Forse quando uscirà il secondo volume, farò uno sforzò e darò un'altra possibilità al racconto, ma adesso come adesso NO. Mi dispiace
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