passata bene la settimana? Quanti libri vi siete piluccati in questi giorni? Io ieri ho iniziato "Oltre i limiti" di Mcgarry Katie. Woo!!!!!! Devo ancora finirlo e già me ne sono perdutamente innamorata, perciò come appuntamento di settimana ho deciso di inserirvi un breve estratto del racconto. So che la maggior parte di voi l'avrà già letto, ma lo inserisco lo stesso :p
Buona lettura e non mancate di dirmi come avete trovato il romanzo!

Oltre i limiti
Mcgarry Katie
Nessuno sa cosa sia successo a Echo Emerson, la ragazza più popolare della scuola, la notte in cui le sue braccia si sono ricoperte di cicatrici. Nemmeno lei ricorda niente, e tutto ciò che vuole è ritornare alla normalità, ignorando i pettegolezzi e le occhiate sospettose dei suoi ex-amici. Ma quando Noah Hutchins, il "bad boy" del quartiere irrompe nella sua vita con la sua giacca di pelle, i suoi modi da duro e la sua inspiegabile comprensione, il mondo di Echo cambia. All'apparenza i due non hanno nulla in comune, e i segreti che custodiscono rendono complicato il loro rapporto. Eppure, a dispetto di tutto, non riescono a fare a meno l'uno dell'altra. Dove li porterà l'attrazione che li consuma e cos'è disposta a rischiare Echo per l'unico ragazzo che potrebbe insegnarle di nuovo ad amare?
BREVE ESTRATTO
“Mio padre è un maniaco del controllo, odio la mia matrigna, mio fratello è morto e mia madre ha… be’… dei problemi. Come crede che stia?”
È così che avrei voluto rispondere alla domanda della signora Collins, ma mio padre
dava troppa importanza alle apparenze perché replicassi con onestà. Perciò sbattei tre volte le
palpebre e dissi: «Bene».
La signora Collins, la nuova psicologa della Eastwick High, si comportò come se non
avessi aperto bocca: spostò una pila di cartelline al lato della scrivania già stracolma e frugò tra i
vari documenti, mettendosi a canticchiare quando trovò il mio fascicolo, spesso quasi otto
centimetri; poi si premiò con un sorso di caffè, lasciando un’impronta di rossetto rosso sul bordo
della tazza. L’odore di caffè scadente e di matite appena temperate riempiva l’aria.
Alla mia destra, mio padre sbirciò l’orologio mentre, alla mia sinistra, la Perfida Strega
dell’Ovest si agitava impaziente sulla sedia. Stavo perdendo la prima ora di calcolo, mio padre una
riunione molto importante, e la mia matrigna di Oz…? Di sicuro stava perdendo la concentrazione.
«Non trovate che gennaio sia fantastico?» domandò la signora Collins aprendo la mia
cartellina. «Anno nuovo, mese nuovo, un nuovo programma a cui lavorare.» Senza aspettare una
risposta, proseguì: «Vi piacciono le tende? Le ho fatte io».
Con un movimento sincronizzato, mio padre, la mia matrigna e io ci volgemmo verso le
tende a pois rosa appese alle finestre che davano sul parcheggio degli studenti. Facevano un po’
troppo Casa nella Prateria, un vero e proprio pugno in un occhio per i miei gusti. Nessuno di noi
rispose, e il silenzio creò un pesante imbarazzo.
Il Blackberry di mio padre vibrò. Con uno sforzo esagerato, se lo sfilò dalla tasca per
controllare il display. Ashley tamburellò le dita sulla pancia arrotondata, mentre io leggevo le varie
targhe dipinte a mano appese al muro, così da concentrarmi su qualsiasi cosa che non fosse lei.
IL FALLIMENTO È IL TUO UNICO NEMICO. SE VUOI SALIRE NON
GUARDARE IN BASSO. ABBIAMO SUCCESSO SOLTANTO SE CI CREDIAMO. SOPRA LA
PANCA LA CAPRA CAMPA; SOTTO LA PANCA LA CAPRA CREPA.
Ok… l’ultima frase non c’era, ma se ci fosse stata l’avrei trovata divertente.
La signora Collins mi ricordava un Labrador troppo cresciuto, con i suoi capelli biondi e
il suo atteggiamento troppo amichevole.
«I risultati dei test attitudinali di Echo sono favolosi. Dovreste essere molto fieri di
vostra figlia.» Mi sorrise sincera, mostrando tutti i denti.
Timer partito. La mia ora di terapia era ufficialmente iniziata. Circa due anni fa, dopo
l’incidente, i servizi sociali avevano “fortemente incoraggiato” la terapia… e papà aveva imparato
in fretta che era meglio dire di sì a qualsiasi cosa “fortemente incoraggiata”. Le sedute si tenevano
in un ufficio separato dalla scuola, dove andavo regolarmente come un qualsiasi paziente. Grazie ai
fondi dello Stato del Kentucky e a un’assistente sociale troppo zelante, ero entrata nel programma
sperimentale. L’unico incarico della signora Collins era gestire un gruppo di ragazzi del mio liceo.
Che fortuna!
Mio padre si raddrizzò sulla sedia. «I suoi voti in matematica erano bassi. Voglio che
rifaccia i test.»
«C’è un bagno?» s’intromise Ashley. «Al piccolo piace starsene seduto sulla mia
vescica.»
Almeno quanto a lei piaceva stare al centro di tutto.
La signora Collins le rivolse un sorriso tirato e le indicò la porta. «Attraversi la sala
principale e vada a destra.»Da come si mosse per alzarsi, sembrava che Ashley portasse in grembo
una palla di trenta chili invece di un bambino. Scossi la testa disgustata, cosa che attirò solo
un’occhiataccia da parte di mio padre.
«Signor Emerson» continuò la signora Collins appena la mia matrigna se ne fu andata.
«I risultati di Echo sono già al di sopra della media nazionale, e secondo il suo fascicolo ha già
inoltrato domanda di ammissione ai college che le interessano.»
«Ci sono alcune università di economia a cui vorrei che facesse domanda. Inoltre,
questa famiglia non accetta “al di sopra della media”. Mia figlia eccellerà.»
Mio padre parlava come una divinità. Avrebbe potuto tranquillamente aggiungere: Così
sia scritto, così sia fatto. Appoggiai il gomito sul bracciolo della poltrona e nascosi la faccia tra le
mani.
«Posso capire che questo le crei problemi, signor Emerson» disse la signora Collins con
un irritante tono pacato. «Ma i risultati di inglese di Echo sono praticamente perfetti…»
E a questo punto smisi di ascoltarli. Mio padre e la precedente consulente di
orientamento avevano già avuto questa discussione quando ero al secondo anno e avevo sostenuto il
PSAT − il test preliminare a quelli attitudinali − e poi di nuovo l’anno scorso, dopo aver superato
gli esami attitudinali − il SAT e l’ACT − per la prima volta. Alla fine la consulente aveva capito
che mio padre vinceva sempre, e aveva gettato la spugna al primo tentativo.
I risultati dei miei test erano l’ultima delle mie preoccupazioni. Trovare i soldi per
sistemare la macchina di Aires era il problema che mi assillava. Fin dalla morte di Aires, mio padre
si era impuntato sulla questione, insistendo che avremmo dovuto venderla.
«Echo, sei soddisfatta dei tuoi risultati?» mi domandò la signora Collins.
Le scoccai un’occhiata attraverso i riccioli rossi che mi ricadevano sul viso. L’ultima
psicologa aveva capito la gerarchia della nostra famiglia e si rivolgeva direttamente a mio padre,
non a me. «Prego?»
«Sei soddisfatta dei tuoi risultati? Vuoi rifare i test?» Incrociò le braccia e le appoggiò
sul mio fascicolo. «Intendi fare domanda ad altre università?»
Incontrai gli occhi grigi e stanchi di mio padre. Vediamo… Rifare i test significava che
mi avrebbe assillato ogni secondo con lo studio, il che per me voleva dire svegliarmi presto un
sabato, perdere l’intera mattinata a friggermi il cervello e poi preoccuparmi per settimane dei
risultati. Quanto a fare domanda ad altre università? Piuttosto avrei rifatto i test! «Sinceramente no.»
Le rughe d’espressione intorno agli occhi e alla bocca di papà divennero più profonde
per il disappunto. Cambiai tono: «Mio padre ha ragione. Dovrei rifare i test».
La signora Collins scribacchiò qualcosa nella mia cartellina. L’ultima psicologa era a
conoscenza dei miei problemi con l’autorità. Non c’era bisogno di annotare quel che era già
ampiamente documentato.
Ashley rientrò ciondolando nella stanza e si sedette accanto a me. «Cosa mi sono
persa?» Onestamente mi ero dimenticata della sua esistenza. Oh, se anche papà l’avesse fatto!
«Niente» rispose mio padre.
La signora Collins scostò la penna dal foglio. «Chiedi alla signora Marcos le prossime
date dei test prima di andare in classe. E dato che sto svolgendo anche il ruolo di consulente di
orientamento, mi piacerebbe discutere del tuo quadrimestre invernale. Hai riempito le tue ore libere
di lezioni di economia. Mi chiedevo il perché.»
La vera risposta − perché mi aveva obbligata mio padre − avrebbe probabilmente
irritato diverse persone nella stanza, perciò improvvisai: «Mi aiuteranno a prepararmi per il
college». Wow. L’ho detto con l’entusiasmo di un bambino di sei anni in procinto di farsi il vaccino
antinfluenzale. Pessima scelta. Mio padre si agitò di nuovo sulla sedia e sospirò. Pensai di cambiare
risposta, ma immaginai che sarebbe suonata altrettanto falsa.
La signora Collins esaminò attentamente il mio fascicolo. «Hai dimostrato un talento
incredibile in arte, soprattutto nel disegno. Non sto dicendo che dovresti lasciare tutti i corsi di
economia, ma potresti eliminarne uno e seguire un corso d’arte al suo posto.»
«No» ringhiò mio padre, sporgendosi in avanti e congiungendo le dita. «Echo non
seguirà nessun corso d’arte, è chiaro?» Mio padre era una strana combinazione fra un istruttore di
reclute e il Bianconiglio di Alice: aveva sempre un luogo importante dove andare e adorava dare
ordini a chi lo circondava.
Devo rendere onore alla signora Collins: non batté ciglio prima di cedere. «Cristallino.»
«Bene, ora che abbiamo sistemato questa faccenda…» Ashley e il suo pancione si
spinsero sul bordo della sedia, pronti ad alzarsi. «Ho fissato per errore troppi appuntamenti oggi, e
ho un’ecografia. Potremmo scoprire il sesso del bambino.»
«Signora Emerson, i voti di Echo non sono il motivo dell’incontro, ma capisco se deve
andare.» La signora Collins prese una lettera ufficiale dal primo cassetto, mentre Ashley − il volto
paonazzo − tornava a sedersi. Avevo già visto quella carta intestata parecchie volte negli ultimi due
anni. A quanto pareva, i servizi sociali amavano distruggere le foreste pluviali.
La signora Collins rilesse la lettera fra sé e sé, mentre − in gran segreto − speravo di
andare a fuoco per autocombustione. Sia io che mio padre sprofondammo nelle sedie. Oh, le gioie
della terapia di gruppo!
Mentre aspettavo che finisse di leggere, notai una rana di peluche vicino al computer, la
foto di lei e di un uomo (forse il marito) e poi, nell’angolo della scrivania, una grande coccarda blu,
di quelle che la gente riceve quando vince una competizione.
Qualcosa si risvegliò dentro di me. Uh… strano.
La signora Collins ripiegò la lettera e la ripose nella cartellina già stracolma. «Ecco.
Sono ufficialmente la tua psicologa.»
Visto che non aggiunse altro, spostai lo sguardo su di lei. Mi stava osservando. «È una
bella coccarda, vero, Echo?»
Mio padre si schiarì la gola e le lanciò un’occhiataccia. Ok, quella fu una reazione
strana, ma in fondo, era semplicemente irritato perché era inchiodato lì. I miei occhi tornarono alla
coccarda. Perché mi sembrava familiare? «Direi di sì.»
Gli occhi della donna si spostarono alle piastrine attorno al mio collo, che stavo
toccando senza farci caso. «Mi dispiace molto per la vostra perdita. In quale corpo delle forze
armate era?»
Fantastico. A mio padre sarebbero scoppiate le coronarie. Aveva detto chiaramente
settantacinque volte che le piastrine di Aires dovevano restare chiuse nella scatola sotto il mio letto,
ma oggi ne avevo bisogno… nuova psicologa, il secondo anniversario della morte di Aires ancora
recente, e il primo giorno del mio ultimo quadrimestre al liceo. La nausea mi rimbalzò nello
stomaco. Evitando l’occhiata delusa di mio padre, mi ostinai a cercare le doppie punte dei miei
capelli.
«Marine» rispose asciutto lui. «Senta, stamattina ho una riunione con dei potenziali
clienti, ho promesso ad Ashley che l’avrei accompagnata all’appuntamento con il dottore, ed Echo
sta perdendo la sua lezione. Ne abbiamo ancora per molto?»
«Questo lo decido io. Se intende rendere difficili questi incontri, signor Emerson, sarò
più che contenta di convocare l’assistente sociale di Echo.»
Cercai di trattenere il sorriso che mi tirava le labbra. La signora Collins aveva giocato
una mano ben preparata. Mio padre si arrese, ma la mia matrigna, d’altro canto…
«Non capisco. Presto Echo compirà diciott’anni. Perché lo Stato ha ancora autorità su di
lei?»
«Perché questo è ciò che lo Stato, la sua assistente sociale e io pensiamo sia meglio per
lei.» La signora Collins chiuse il mio fascicolo. «Echo continuerà la terapia con me fino a quando
non si diplomerà, questa primavera. A quel punto, lo Stato del Kentucky lascerà in pace lei… e
voi.»
Attese finché Ashley annuì, accettando in silenzio la situazione. «Come va, Echo?» mi
chiese poi.
Una favola. Magnificamente. Mai stata peggio. «Bene.»
«Davvero?» Si picchiettò il mento con un dito. «Perché credevo che l’anniversario della
morte di tuo fratello potesse risvegliare delle emozioni dolorose.»
Mi scrutò mentre fissavo il vuoto, sotto lo sguardo imbarazzato di mio padre e Ashley.
Mi sentivo tormentata dal senso di colpa. Tecnicamente non mi aveva fatto una domanda, quindi in
teoria non le dovevo una risposta, ma il bisogno di compiacerla mi travolse come uno tsunami. Ma
perché? Era solo un’altra psicologa che si aggiungeva alla lunga lista di terapeuti con cui avevo
avuto a che fare. Facevano tutti le stesse domande e promettevano aiuto, ma ciascuno di loro mi
lasciava nelle stesse condizioni in cui mi aveva trovata… spezzata.
«Piange.» La vocina acuta di Ashley ruppe il silenzio come se stesse dispensando
pettegolezzi succosi da country club. «Tutto il tempo. Le manca davvero Aires.»
Sia mio padre che io ci voltammo a guardare l’oca bionda. Volevo che continuasse,
mentre sono sicura che mio padre volesse il contrario. Per una volta, Dio mi ascoltò.
«Manca a tutti noi. È così triste che il bambino non lo conoscerà mai.»
E ancora una volta, benvenuti allo spettacolo di Ashley, sponsorizzato da Ashley e dai
soldi di mio padre. La signora Collins prese appunti rapidamente, annotando senza dubbio le parole
incaute della mia matrigna mentre mio padre gemeva.
«Echo, ti piacerebbe parlare di Aires durante la seduta di oggi?» mi domandò la signora
Collins.
«No.» Quella probabilmente fu la risposta più onesta che diedi quella mattina.
«D’accordo» rispose lei. «Lo conserveremo per un incontro successivo. E tua madre?
Hai più avuto contatti con lei?»
Ashley e mio padre risposero contemporaneamente: «No», mentre io buttai fuori un:
«Più o meno».
Mi sentivo come il ripieno di un panino al prosciutto, per il modo in cui tutti e due si
stavano sporgendo verso di me. Non ero sicura di cosa mi avesse spinto a dire la verità. «Ho provato
a chiamarla durante le vacanze.» Quando non mi aveva risposto, ero rimasta seduta accanto al
telefono per giorni, sperando e pregando che le importasse che due anni prima aveva perso suo
figlio.
Mio padre si passò una mano sul viso. «Sai che non hai il permesso di contattarla.» La
rabbia nella sua voce suggeriva che non riusciva a credere che io avessi raccontato alla psicologa
questo succulente bocconcino. Immaginai una folla di assistenti sociali che gli danzavano nella
mente. «C’è un ordine restrittivo. Dimmi, Echo, telefono fisso o cellulare?»
«Telefono fisso» mormorai. «Ma non abbiamo mai parlato. Lo giuro.»
Fece scivolare il dito sul Blackberry e sullo schermo comparve il nome del suo
avvocato. Strinsi le piastrine, il nome di Aires e il numero di serie che si imprimevano nel mio
palmo. «Per favore, papà, non farlo» sussurrai.
Lui esitò e il mio cuore rimase premuto contro le costole. Poi, grazie al cielo, lasciò
cadere in grembo il cellulare. «Ora dovremo cambiare numero.»
Annuii. Faceva male sapere che mia madre non avrebbe più potuto richiamarmi, ma
avrei sopportato il colpo… per lei. Una madre aveva bisogno di tante cose, ma la prigione non era
una di quelle.
«Hai avuto altri contatti con lei da allora?» La signora Collins aveva perso la sua
cordialità.
«No.» Chiusi gli occhi ed emisi un respiro profondo. Tutto dentro di me faceva male.
Non sarei riuscita a mantenere la facciata tranquilla ancora a lungo. Questo genere di domande mi
lacerava le ferite ancora fresche dell’anima.
«Tanto per essere sicure che siamo sulla stessa lunghezza d’onda… capisci che un
contatto fra te e tua madre, mentre c’è un ordine restrittivo, è proibito?»
«Sì.» Boccheggiai. Il nodo che sentivo stringersi intorno alla gola impediva l’ingresso
del prezioso ossigeno. Mi mancava Aires e − oh, Signore − mia mamma, e Ashley stava per avere
un bambino, e mio padre mi stava addosso tutto il tempo, e… avevo bisogno di qualcosa. Qualsiasi
cosa.
Contro ogni logica, lasciai che le parole mi scivolassero fuori di bocca: «Voglio riparare
l’auto di Aires». Chi lo sa, forse rimettere a posto qualcosa di suo avrebbe scacciato il dolore.
«Oh, non di nuovo!» mormorò mio padre.
«Un attimo. Non di nuovo cosa? Echo, di cosa stai parlando?» chiese la signora Collins.
Fissai i guanti che indossavo. «Aires scovò una Corvette del 1965 in un deposito di
rottami. Ha passato tutto il suo tempo libero a ripararla, e aveva quasi finito prima di partire per
l’Afghanistan. Voglio rimetterla a posto. Per Aires.» Per me. Non aveva lasciato niente quando se
n’era andato, tranne la macchina.
«Sembra un modo salutare di elaborare il lutto. Cosa ne pensa, signor Emerson?» La
signora Collins sfoderò uno sguardo da cucciolo… un trucco che dovevo ancora imparare.
Mio padre controllò di nuovo il Blackberry, il corpo presente ma la testa già al lavoro.
«È costoso e non vedo il motivo di riparare un’auto rotta quando lei ne ha una che funziona.»
«Allora permettimi di cercare un lavoro» ribattei. «E potremo vendere la mia auto una
volta che quella di Aires sarà a posto.»
Tutti gli occhi erano puntati su di lui, e i suoi erano fissi su di me. Senza volerlo, lo
avevo messo all’angolo. Voleva dire di no, ma così avrebbe scatenato l’ira della nuova psicologa.
Dopotutto, in terapia dovevamo essere perfetti. Volesse il cielo che ne approfittassimo per
affrontare qualche problema!
«D’accordo, ma dovrà pagarsi l’auto da sola, ed Echo conosce le mie regole in materia
di impiego. Deve trovare un lavoro che non interferisca con la scuola, con i corsi che abbiamo
stabilito e con i voti. Ora, abbiamo finito qui?»
La signora Collins guardò l’orologio. «Non del tutto. Echo, la tua assistente sociale ha
esteso la tua terapia fino al diploma per le valutazioni dei tuoi professori. Dall’inizio del primo
anno, ognuno di loro ha notato un netto calo della tua partecipazione in classe e dei rapporti con i
tuoi coetanei.» I suoi occhi incontrarono i miei. «Tutti vogliono che tu sia felice, Echo, e vorrei che
mi dessi l’opportunità di aiutarti.»
Inarcai un sopracciglio. Come se avessi scelta sulla terapia, e riguardo alla mia
felicità… dannata buona sorte! «Va bene.»
La voce squillante di Ashley mi fece sussultare: «Ha un appuntamento per il ballo di
San Valentino».
Mio padre e io replicammo contemporaneamente: «Ah, sì?» e «Davvero?»
Ashley fece rimbalzare nervosamente lo sguardo tra di noi. «Sì, ricordi, Echo? Ieri sera
abbiamo parlato di quel nuovo ragazzo che ti piace, e ti ho detto che non dovresti abbandonare i tuoi
amici perché sei ossessionata da un ragazzo.»
Cercai di scegliere cosa mi infastidisse di più: il fidanzato immaginario, o che noi due
potessimo aver avuto una vera conversazione. Mentre decidevo, mio padre si alzò e si infilò il
cappotto. «Vede, signora Collins, Echo sta bene. È solo un po’ innamorata. Per quanto queste sedute
siano piacevoli, l’appuntamento di Ashley è fra venti minuti e non voglio che Echo salti altre
lezioni.»
«Echo, vuoi veramente procurarti i soldi per riparare l’auto di tuo fratello?» mi
domandò la signora Collins mentre si alzava per accompagnare alla porta mio padre e la mia
matrigna.
Mi sistemai i guanti che portavo per coprire la pelle. «Più di quanto possa immaginare.»
Lei mi sorrise, prima di uscire dalla stanza. «Allora ho io il lavoro per te. Aspetta qui
mentre discutiamo i dettagli.»
Loro tre si appartarono in un angolo della sala principale, parlando a bassa voce. Mio
padre passò un braccio attorno ai fianchi di Ashley e lei si appoggiò a lui, mentre annuivano alle
parole sussurrate dalla signora Collins. Il familiare senso di gelosia e rabbia mi serrò lo stomaco.
Come poteva amarla, dopo che aveva distrutto così tanto?
L'AUTRICE

Katie Mc Garry è appassionata di musica, degli “…e vissero tutti felici e contenti”, e dei reality. Adora scrivere con l’inchiostro colorato, soprattutto rosa e viola, ed è una tifosa della squadra di basket dell’Università del Kentucky… anche se non lo ammetterà mai. Le piace conoscere i pareri dei suoi lettori.
Non posso dirvi neanch'altro sul romanzo poiché mi mancano ancora 100 pagine, ma poco fa mi sono imbattuta in questa splendida frase e ci tengo a condividerla:
"Il pianto peggiore non era quello visibile a tutti… frignare agli angoli delle strade, strapparsi di dosso i vestiti. No, era molto peggio quando a piangere era l’anima, e niente riusciva a darle conforto. Alla fine, restava sempre una cicatrice. In persone come me ed Echo, l’anima aveva più cicatrici che esperienze di vita". Noah
Per oggi è tutto purtroppo non ho tempo per pubblicare altro, ho un compleanno lampo da organizzare. Buon proseguimento.. Ciao
Prima o poi lo leggerò :)
RispondiEliminaSperi prima che poi. Sono sicura al cento per cento che non ne rimarrai delusa :)
Eliminaio l'ho lettooo è vero che è bellissimooo, io non riuscivo a staccarmi da quelle pagine meravigliose, adesso bisogna attendere solo il secondo.... cosa ne pensi degli amici di Noah???
RispondiEliminaBeth la Centaura e Isaiah???? Sono fantastici non vedo l'ora di leggere il libro a loro dedicato <3 <3 <3
EliminaIspira molto... E devo dire che hai un blog molto carino :) Vorrei tanto potermi iscrivere ma non mi funziona Google Friend Connect :( Senti non è che potresti dare un'occhiata al mio blog e dirmi cosa ne pensi (anche della storia che sto pubblicando)? http://worldsara.blogspot.it/
RispondiEliminaVado subito a dare un'occhiata al tuo blog :)
Eliminaio l'ho letto in un giorno e ho letto anche il seguito...dovrebbero leggerlo anche i ragazzi per capire come comportarsi
RispondiElimina